giovedì, Settembre 19, 2024

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Le manie di accerchiamento in ufficio

C’è un veleno sottile che scorre in molti ambienti lavorativi, capace di isolare, di creare tensioni inutili e di soffocare la crescita collettiva: le manie di accerchiamento. Si tratta di una dinamica in cui il timore irrazionale di essere circondati da nemici, pronti a minare il proprio potere o ruolo, si trasforma in una difesa cieca e ossessiva. È un atteggiamento tossico che non solo ostacola il lavoro di squadra, ma alimenta un clima di sospetto e sfiducia tra colleghi.

Chi cade vittima di questa sindrome percepisce ogni movimento degli altri come un potenziale attacco. Le decisioni, le proposte, anche i semplici commenti, vengono filtrati attraverso una lente paranoica, in cui ogni collega diventa una minaccia, un avversario da controllare o neutralizzare. E così, anziché favorire la collaborazione e l’apertura, si crea un muro invisibile fatto di paura e sfiducia reciproca.

Il problema principale di queste manie di accerchiamento è che generano un’atmosfera tesa, dove ognuno si muove con cautela, misurando le parole e i gesti per non cadere vittima delle insicurezze altrui. Questo clima di controllo soffoca la creatività, inibisce la comunicazione aperta e costringe le persone a operare con la costante preoccupazione di essere fraintese o accusate di secondi fini.

Ma cosa spinge una persona, spesso un leader o un manager, a sviluppare queste manie? La radice è quasi sempre la stessa: una profonda insicurezza personale. Chi si sente fragile, incompetente o fuori luogo inizia a vedere minacce dappertutto, cercando di proteggere la propria posizione attraverso una rete di controllo e manipolazione. È un tentativo disperato di mantenere il potere, ma alla fine diventa una trappola, tanto per chi lo esercita quanto per chi lo subisce.

Eppure, le conseguenze di queste dinamiche non si limitano all’individuo. Le manie di accerchiamento possono inquinare l’intera cultura aziendale. Le persone finiscono per fare squadra non sulla base della fiducia e della cooperazione, ma per fronteggiare un clima ostile. Si creano fazioni, si alimentano gossip e si finisce per spendere più tempo a difendere il proprio territorio che a costruire qualcosa di positivo insieme.

Per le aziende, il rischio è evidente: il talento e l’energia che potrebbero essere dedicati al progresso vengono canalizzati verso battaglie interne, futili e improduttive. Le persone più brillanti e motivate rischiano di andarsene, stanche di un ambiente soffocante, lasciando il campo a chi preferisce giocare di astuzia piuttosto che dimostrare competenza.

La soluzione? Serve un cambiamento radicale nella mentalità. È necessario incoraggiare una cultura del lavoro aperta e trasparente, dove la leadership non si basa sul controllo ma sulla fiducia. Le aziende devono educare i propri manager a riconoscere i segnali di insicurezza e a costruire relazioni basate sull’ascolto e sulla collaborazione, non sulla paura di essere scavalcati.

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