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Il servilismo sul lavoro: una piaga da estirpare


Il servilismo sul posto di lavoro avvelena l’ambiente professionale, minando la dignità individuale e la produttività collettiva.

Correre quando arriva il capo, spegnere la radio, nascondere la bottiglia d’acqua, evitare di caricare il cellulare perchè da fastidio al boss, scendere a prendere il caffè dall’altra parte della città “perchè a me piace solo in quel bar”, dichiararsi apertamente a favore delle leggi antifumo, quando poi magari uno si fumerebbe anche gli alberi, genuflettersi davanti alla statua della madre del direttore, partecipare a un cineforum sul realismo cecoslovacco (ok queste ultime due situazioni sono prese dai mitici film di Fantozzi), sono solo alcuni degli esempi tipici di servilismo.

Quest’ultimo si manifesta attraverso una serie di atteggiamenti che vanno dall’adulazione smodata dei superiori alla sottomissione acritica a politiche aziendali ingiuste o dannose. È una forma di autocompiacimento che sacrifica la propria integrità per un’apparente sicurezza lavorativa o un avanzamento di carriera. Ma a quale costo? La perdita di rispetto verso se stessi e verso i colleghi.

Questo comportamento non è solo eticamente riprovevole, ma anche deleterio per la salute mentale dei lavoratori. Chi si conforma a questo modello finisce per vivere in uno stato di costante insicurezza, temendo il giudizio dei superiori e dei pari. Il risultato è un clima lavorativo oppressivo, dove il talento e l’originalità vengono soffocati in favore di una piaggeria vuota e priva di sostanza.

Ma come si è giunti a questa situazione? Le radici del servilismo affondano in una cultura aziendale che premia l’apparenza più della sostanza. Troppi manager si circondano di yes-men, preferendo la rassicurazione di un consenso fasullo alla sfida di un confronto onesto e costruttivo. Questo atteggiamento non solo perpetua l’inefficienza, ma crea anche una cultura del sospetto e del risentimento.

Il servilismo, inoltre, crea un divario crescente tra chi si adegua e chi mantiene la propria integrità. I lavoratori che scelgono di non piegarsi alle logiche servili vengono spesso emarginati, considerati elementi scomodi in un sistema che non tollera la dissonanza. Eppure, sono proprio questi individui a possedere il coraggio e la visione necessari per portare avanti il cambiamento e l’innovazione.

In un contesto così viziato, è fondamentale promuovere una cultura del lavoro basata sul rispetto reciproco e sulla valorizzazione del merito. Le aziende devono imparare a riconoscere e premiare il talento genuino, incoraggiando i dipendenti a esprimere le proprie idee e a sfidare lo status quo. Solo così si potrà costruire un ambiente di lavoro sano, in cui la crescita professionale è legata alla competenza e all’impegno, non alla capacità di ingraziarsi i superiori.

Solo chi non ha nulla da dire sceglie di dire sempre di sì.

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