“A Complete Unknown” non è solo un film, è un viaggio. Un’onda che ti prende e ti trascina nel cuore degli anni ’60, tra sogni, rivoluzioni e accordi di chitarra che suonano come manifesti generazionali. James Mangold dipinge con delicatezza e profondità il ritratto di un giovane Bob Dylan in cerca di se stesso, di una voce che fosse davvero sua, oltre le aspettative, oltre le etichette.
Timothée Chalamet non interpreta Dylan, lo incarna. È negli sguardi persi dietro le nuvole di fumo, nelle parole che sembrano sgorgare da un’urgenza profonda, nei silenzi che pesano più di mille canzoni. Lo senti nel modo in cui sfiora la chitarra, nel modo in cui affronta il palco, tra paura e sfida. E poi c’è Joan Baez, il Greenwich Village, le strade che odorano di cambiamento. C’è tutto quello che ha reso Dylan Dylan, ma anche tutto quello che l’ha reso fragile, umano.
La musica, suonata dal vivo, non è solo colonna sonora, è carne e sangue del film. Ogni nota è una pagina di diario, ogni canzone un grido di libertà. E allora ti lasci andare, chiudi gli occhi e ascolti. Perché in fondo, “A Complete Unknown” non racconta solo Bob Dylan. Racconta tutti noi, ogni volta che abbiamo provato a cambiare pelle, ogni volta che abbiamo inseguito un sogno senza sapere dove ci avrebbe portati. Ed è proprio lì, in quell’incertezza, che nasce la magia.