C’è un momento, in Il Sorpasso di Dino Risi, in cui il giovane Roberto (Jean-Louis Trintignant) guarda Bruno (Vittorio Gassman) e capisce che il suo mondo si sta sgretolando. Un momento fugace, sepolto tra le risate e le accelerate sulla Via Aurelia, ma che pesa come un macigno: il ragazzo si rende conto di aver varcato una soglia, quella tra la sicurezza borghese e il baratro della vita vera. Il problema? È troppo tardi per tornare indietro.
Dino Risi non gira un film, compone un manifesto. Il 1962 non è solo l’Italia del boom economico, è l’Italia che si illude di essere diventata moderna senza essersi guardata allo specchio. Gente che compra frigoriferi a rate e crede che la felicità sia una decappottabile lanciata a tutta velocità. E Bruno, con la sua parlantina inarrestabile, il suo sorriso a 32 denti e quell’irresistibile spavalderia da guascone, è l’uomo del momento. Ma è davvero un vincente o è solo il miglior perdente in circolazione?
Il film funziona perché Gassman e Trintignant sono perfetti nei loro ruoli: l’uno esplosivo, incontenibile, l’altro timido, impacciato, simboli di due Italie destinate a schiantarsi l’una contro l’altra. E Risi, con una regia che non lascia tregua, costruisce un road movie esistenziale in cui ogni risata è il preludio di una tragedia. Lo capisci solo alla fine, quando il film inchioda il pubblico con una scena che ti si stampa nella memoria per sempre.
Il Sorpasso è una trappola travestita da commedia: ci fa ridere per non farci accorgere che stiamo ridendo di noi stessi. E quando finalmente ce ne accorgiamo, siamo già troppo avanti per poter frenare.